Ritengo che la statua raffigurante Cristo in croce abbia almeno 250 anni. E’ in legno, cavo al suo interno: questo ha consentito la perfetta conservazione finora. Non sono presenti aperture nelle giunzioni dei diversi pezzi di legno assemblati, segno di un sapiente uso dei legni e delle colle.
Chi lo scolpì conosceva molto bene l’anatomia del corpo umano ed era un ottimo scultore del legno.
Il panneggio così aggettante verso la destra dell’osservatore ne dimostra la sua perizia.
Il capo, in particolare, è molto raffinato: la fluenza della barba e dei capelli è morbida e dolce.
L’incarnato è stato eseguito con pigmenti legati con olio di lino ora divenuto estremamente resistente. La corona di spine è stata eseguita con un canapo indurito da colle animali e con stecchi di legno ad imitare le spine.
Dopo il restauro si sono messi in evidenza le diverse colorazioni: rosate per le parti del corpo esposte, bluastre per gli incavi, colorazione che dice di un corpo ancora vivo.
Nell’insieme il corpo è stato pensato in una posa molto elegante, su una curvatura verso destra che chiaramente non può essere quella di un corpo sottoposto a tortura: quindi lo scultore ha voluto trasmetterci, con la sua arte, il messaggio di un corpo quasi danzante, non sofferente, non macabro.
Guarda verso l’alto, forse poco prima dell’ultimo respiro, la bocca leggermente aperta, forse nell’atto del parlare o sospirare.
Quando un opera è d’arte come questa, l’osservatore si sente di soffermarsi, di riflettere e dare interpretazioni conscie e inconscie a cui forse lo scultore non aveva pensato. Quest’opera attrae, fa pensare, che si sia credenti o meno.
Trasmette dolcezza, nella sua curvatura verso destra e con il panneggio svolazzante, sembra subire un leggero vento proveniente da sinistra. Un corpo che ancora si lascia muovere nonostante sia inchiodato alla croce. La sofferenza dell’essere trafitto non gli impedisce di essere elegante, morbido, sensibile ancora alla bellezza della vita.
Averla presa tra le braccia più volte per le varie fasi del restauro, ha provocato in me emozione e fremito, specie verso l’ultimazione del lavoro.
Quando ci si sofferma a osservare questa effige del Corpo di Cristo, annulliamo il tempo e ci mettiamo in contatto con lo scultore che la eseguì: non sappiamo chi sia ( molto probabilmente del nord Italia) e di lui forse non ci sono più neanchè le ossa, ma il suo modo di intendere la Crocifissione ancora è in atto, grazie alla sua opera.
Aver scelto di valorizzare all’interno della chiesa della Cesanella questa scultura significa anche metterci in relazione con il nostro passato, che ci dà la necessaria sicurezza per affrontare il futuro.